La misura della brillanza del cielo è una operazione molto delicata. Questa difficoltà, però, non viene dalla complessità della strumentazione necessaria. Qualunque sistema adatto alla fotometria di oggetti astronomici, stellari o estesi, può essere in linea generale, impiegato per misurare la brillanza del cielo. In genere tali sistemi sono costituiti da un sistema ottico ( ad. esempio un telescopio) e da un sistema di rivelazione, composto a sua volta dal rivelatore vero e proprio, dal sistema di filtri che contribuiscono a determinare la curva di sensibilità del sistema e da altre parti quali diaframmi di campo, ecc. Il rivelatore vero e proprio può essere un fotocatodo, un fotodiodo, un CCD o altro. A seconda del tipo di studio effettuato il sistema può essere fisso o trasportabile.
Le misure fatte da Walker (1977) in California, sono state eseguite ad esempio con un telescopio da 3 pollici con un fotometro fotoelettrico che utilizzava un fotomoltiplicatore 1P21 non raffreddato. Un diaframma di campo circolare sul piano focale delimitava un'area di cielo di un grado quadrato ed un filtro Corning 3384 di spessore standard assicurava una curva di sensibilità corrispondente alla banda fotometrica V.
Le misure fatte in Italia da Bertiau et al.(1973) sono state eseguite con un fotometro portatile (Treanor e Salpeter 1972) con un sistema ottico rifrattore da 42 mm di diametro che utilizzava un fotomoltiplicatore 1P21 non raffreddato ma selezionato con cura. L'alimentazione di quest'ultimo era fornita da un set di batterie a 12 Volt DC tramite un convertitore. Anche i fotometri usati da Berry (1976) erano di questo tipo.
Uno dei problemi base della fotometria è che la sensibilità del rivelatore, e più in generale tutta la risposta del sistema, può variare da notte a notte ed anche nel corso della notte stessa. Sbalzi di tensione, variazioni di temperatura sono alcune delle principali cause. Nel caso di strumenti trasportabili, le vibrazioni dovute al trasporto, gli spegnimenti e le successive riaccensioni costituiscono una ulteriore causa di variazione. È quindi necessario effettuare una taratura del sistema fotometrico, chiamata calibrazione, più volte nel corso della notte e comunque dopo ogni riaccensione del sistema. Anche se la curva di risposta si mantiene costante, occorre determinare la corrispondenza tra la scala dello strumento e la scala della brillanza misurata in una delle unità di solito utilizzate. Anche assumendo di conoscere la relazione tra le due scale e che essa sia costante, occorrera quantomeno determinarne ogni volta il punto zero.
Nella fotometria stellare questo problema si evita, almeno  
quando non è richiesto un grado molto elevato di accuratezza,  
perché si procede per confronto tra il  
flusso ricevuto dall'oggetto studiato e quello ricevuto da alcune stelle  
vicine di magnitudine apparente conosciuta. Queste stelle vengono chiamate 
stelle standard fotometriche e sono raggruppate in aree  
scelte distribuite in tutta la sfera celeste. 
Dal rapporto tra i flussi ricevuti nell'unità di tempo  
dall'oggetto e dalle standard si ricava la differenza delle loro  
magnitudini. 
Questo modo di procedere parte dal presupposto che per stelle che  
distano  
pochi gradi tra loro l'effetto dell'estinzione , compreso quello  
dovuto alla 
presenza di veli, sia pressoché uguale. Dalla magnitudine  
``sopra 
l'atmosfera'' della stella standard si determina così  la  
``magnitudine sopra 
l'atmosfera'' dell'oggetto in esame: 

(77)
![\begin{equation}
b [mag/arcsec^{2}] = b_{misurata} + 2.5 \log A \end{equation}](images/img223.gif)
(78)
La difficoltà della misura della brillanza del cielo consiste  
nel fatto che    in questo caso
il flusso che interessa è quello che effettivamente arriva al  
sistema di 
misura, non quello "sopra l'atmosfera". Possiamo confrontare il numero di conteggi che proviene da  
un area 
unitaria di cielo con quello che proviene da una stella standard, ma per  
determinare la brillanza  abbiamo  
bisogno di 
conoscere il flusso della stella standard ``sotto  
l'atmosfera''. Per 
sapere quanto vale quest'ultimo, a partire dalla magnitudine  
``sopra 
l'atmosfera'' tabulata nei cataloghi, occorre 
 conoscere qual é l'estinzione  della luce 
della stella standard nel percorso entro l'atmosfera fino al  
sistema di misura. 
L'estinzione varia da notte a notte ed anche nel corso della notte  
in  
dipendenza delle condizioni meteorologiche. Quindi occorre  
operare in 
``notti fotometriche'' ossia in notti le cui caratteristiche siano  
costanti per 
la gran parte della notte oppure 
effettuare la misura dell'estinzione ripetutamente.  
La misura
 dell'estinzione è  una operazione  
delicata che  
richiede una serie di operazioni che consumano tempo. Essa si  
può fare durante misure della brillanza del cielo eseguite da  
uno stesso osservatorio ma difficilmente si potrà ripetere ad ogni sosta nel caso di misure eseguite da più luoghi di  
osservazione con spostamenti successivi durante la stessa notte. 
Se non si è certi della costanza delle condizioni  
atmosferiche,   
una ottima soluzione è quella di ricorrere ad una  
sorgente standard secondaria situata nel luogo di osservazione. 
Tale sorgente, che deve essere molto stabile, andrà calibrata  
periodicamente, ad esempio con una stella standard di cui si sia  
determinata accuratamente l'estinzione .      Ottime sorgenti standard sono
quelle radioattive, che hanno  un emissione con un andamento nel tempo  
conosciuto e non necessitano di taratura dopo ogni trasporto. 
Una sorgente di questo tipo è stata  
usata da Bertiau et al.(1973) e da Martin Mateo (1983).
Per quanto riguarda la scelta dei punti nel cielo ove fare le misure, essa  
dipende dagli interessi di chi svolge la ricerca. In genere i  
punti più importanti sono lo zenith, e i punti collocati ad un  
altezza di 45truept 
sull'orizzonte, cui fanno riferimento le  
raccomandazioni della Commissione 50 dell'International Astronomical Unionvedi più  
avanti). Sono altresí  interessanti le zone che si trovano basse  
sull'orizzonte perché mettono in evidenza le principali sorgenti  
dell'inquinamento luminoso. 
Un tipico schema di mappatura del cielo (Martin Mateo 1983), ad  
esempio, prevedeva misure in 21 punti: lo zenith, 8 punti situati  
a 45truept 
di altezza (separati da 45truept 
di azimuth) e 12 punti a  
20truept 
di altezza (separati da 30truept 
di azimuth).
È necessario fare attenzione ad accompagnare sempre le misure con la loro data, ora e posizione nel cielo (sia in coordinate altazimutali che in coordinate celesti) in quanto per determinare la brillanza del cielo originata da illuminazione artificiale bisogna sottrarre quella di origine naturale e questa, come abbiamo visto, dipende dalla zona di cielo che si sta osservando.
Nel campo della fotometria, non è interessante solo lo studio della brillanza del cielo ma anche quello degli indici di colore (definiti come la differenza tra la brillanza in due bande astronomiche diverse). Il colore del cielo notturno inquinato varia infatti da sito a sito a seconda di come è composta la popolazione delle lampade dell'area ove si trova il sito e varia nel tempo a seconda di come tale popolazione cambia. Il colore del cielo talvolta in certi siti può variare su breve scala in connessione con il variare dello stato dell'atmosfera che può diffondere di più o di meno luce proveniente da certe aree o da altre ove il tipo di lampada predominante è diverso.